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lunedì 8 giugno 2020

gentefintainutilefanculo

Lo riconosco, è una magra consolazione: il perverso piacere di bloccarlo poteva essere assai maggiore se prima mi fossi prodigato a rinfrescargli la memoria e infierire. Ma onestamente fottesega. ("Si, lo so... ma i maledetti farmaci che prendo mi rendono un essere umano", diceva C.C. Babcock, la socia del sig. Sheffield). In sintesi: pochi giorni fa, mi scrive su Grindr una splendida creatura dal nick "gentefintainutilefanculo" (sic.) con relativa sbrodolata nel profilo dove inveiva contro i cattivoni che lo trattano male in chat o non si dimostrano così disponibili come dicevano.


Amore, si, la gente in media non sta benissimo (e tuo malgrado ne sei un esempio eclatante). Ma non tutti i comportamenti, per quanto sgradevoli, sono senza senso. Qualcuno ti contatta, sembra interessato, OH WOW. Scambiate due parole, poi realizza di che pochezza sei, di come le tue patinatissime foto siano più ritoccate degli zigomi di Madonna e... PUFF, goodbye. Gran brutte persone vero?

Caro gentefintainutilefanculo, una volta ci eravamo dati appuntamento nel parcheggio di Leroy Merlin (all'epoca Castorama), ricordi? Ti stavo aspettando, dicevi che stavi arrivando col Doblò, e ti ho visto passare (anche se hai negato). Mi hai guardato, hai pestato l'acceleratore e sei volato via sulle ali del tuo poderoso 1.3 MultiJet 💔 (e mi hai subito bloccato su Grindr).

Adesso le ali le hai come sopracciglia, come la favolosa gabbianissima che sei, sul faccione gonfio cortisonico (o è troppa pastasciutta?). Ne è passato di tempo, eh? E non è stato molto generoso con te... è sparita in fretta quell'aria da ragazzino furbetto, insieme ai capelli. Ora è faticoso accalappiare, vero? Adesso si, lo credo bene: dev'essere proprio fastidiosa tutta questa gentefintainutilefanculo. Fammi indovinare: gente che ti da appuntamento poi scappa via quando ti vede?

venerdì 16 gennaio 2015

Di nobili origini

Conoscete, almeno di fama, “la Morena” ?

Nonostante io ne abbia sentito parlare, inspiegabilmente, da quando ho memoria (benchè molto di rado) purtroppo ne so poco o niente, solo che è scomparsa da quasi quindici anni. Tutto il resto è solo per sentito dire, come capita per le persone che lasciano un segno (in questo caso che segnano un'epoca) e la fama oltre a precederle, le segue, regalando loro almeno qualche decade di immortalità. La Morena, classe 1938, era un travestito (o forse transessuale?) che batti e ribatti nei vicoli, nella Genova del Boom economico è riuscita a costruirsi un giro e un entourage decisamente di tutto rispetto (tanto da guadagnarsi l'epiteto di kapò dei trans, non da un signor nessuno ma dal più agguerrito dei commissari di Polizia dell'epoca). Risoluta, controversa ma d'animo generoso, è stata immortalata nella leggenda nientemeno che da Fabrizio De Andrè. Si, la graziosa di Via del Campo, occhi grandi color di foglia, era proprio lei. E lui, uno dei suoi clienti più appassionati.

Offriva ospitalità ai bisognosi che le chiedevano asilo, spesso giovani sbandati imberbi che sbarcavano dal meridione, dall'estero, dai sobborghi. Li accoglieva, ne aveva cura e dava loro un letto e un tetto, ma come direbbe lo stesso De Andrè, pur sempre puttana - pare che uno dei primi impieghi che potesse offrire, per forza di cose, fosse di esercitare insieme a lei. Romanzando un po' la leggenda, immagino che per i bei virgulti, quando non c'era la volontà o la stoffa per "esercitare", il minimo sindacale fosse almeno di ricambiare l'ospitalità giacendo con lei... (ma qui è puro mio cinema), comunque penso fosse arcinoto e ben chiaro a cosa sarebbe andato incontro chi bussava alla sua porta, vuoi da cliente, vuoi da rifugiato. Son passati di lì in molti, e ben pochi ci saranno finiti per caso. In tarda età, dopo aver "chiuso i battenti", ha acquistato un banco al mercato, forse l'altro possibile "mestiere più antico del mondo".

Un collega di mia madre, molto gay e molto genovese (anzi, l'archetipo: piglio da primadonna e accento marcato, mi ricordava tantissimo Aldo Busi in versione simpatica, occhialini inclusi) dopo qualche bicchiere di vino a pranzo s'è lasciato sfuggire qualche frase con tanti di quei puntini di sospensione ubriachi intorno che quasi mi son fischiate le orecchie. 

"Eh tuo padre quando era giovane... 
AAAAHHH boccaccia mia statti zitta!"

No, non era un apprezzamento (almeno, non credo. Anche da giovane non era affatto carino: un po' incinghialito e mezzo sdentato già ventenne - uno dei tanti motivi per cui scarto con disgusto le vecchie foto di famiglia che lo ritraevano - è approdato in una roboante Genova di fine anni 60 fuggendo dalle campagne napoletane e lavoricchiando poco e male nei peggio bar e ristoranti della città). 
Il "collega", resosi conto dell'irreparabile gaffe, ha cominciato  a minimizzare a più non posso e alle mie insistenti richieste di vuotare il sacco s'è limitato ad accennarmi della sua gioventù, dicendo che aveva già conosciuto mio padre come ospite della Morena. In pochi istanti, un groviglio di tasselli che nemmeno credevo di aver colto si sono perfettamente incastrati, e non finirò mai di stupirmi. A mio padre non ho mai chiesto nulla, un giorno forse lo farò (sperando di non fargli venire un colpo). Mi lascia comunque sbalordito che in qualche modo esista davvero una connessione Genova-Napoli per travestitismo e "vita", forse proprio in virtù della specularità delle due città come porti di mare, come dice l'articolo.

Mia madre, di famiglia siciliana traslocata prima in Belgio durante l'infanzia poi a Genova poco dopo, potrebbe essere il quadro perfetto di un bel sogno dal brusco risveglio. Figlia di proletari in pieno boom industriale, va subito a lavorare in fabbrica guadagnando non molto ma abbastanza per essere spensierata e sistemata, passa la gioventù guidando una Fiat 500 dietro l'altra. Ragazza bellissima, e non mi sto sbilanciando. Vacanze in Spagna con le amiche e perfino i flirt con i toreri, anche solo dalle fotografie trasudava una solarità, una serenità, una quiete d'animo che chissà se riuscirò mai a trovare anch'io. Giocava in una squadra di calcio femminile, e nemmeno malaccio (questo dovrebbe già farvi accendere qualche spia sul cruscotto). Quand'ero piccolo, durante le feste nelle infinite cene dai parenti ricordo quanto si divertiva, ubriachissima, a infilarsi in bagno con mia zia (moglie del fratello) quando andava a far pipí, con le scuse più stupide (tra femmine non ci si vergogna! Non si fa niente di male, ecc.), ma queste son scemate. È stato solo un paio di anni fa, quando sono definitivamente andato a vivere fuori casa e mi ha chiesto di lasciarle un pc e farle il profilo Facebook, che ho potuto toccare con mano un altro abisso insondato.

È difficile rendere l'idea, ha un bouquet di amiche totalmente sconosciute di ogni angolo del globo, la sua bacheca sembra tratta da un episodio saffico di Cinquanta Sfumature di Grigio. Donne sexy e seminude si contorcono un po' ovunque, sorridendo maliziose, con occhi chiusi sognanti e mandando baci oppure giocando con fruste e guinzagli, con commenti decisamente apprezzativi, spesso anche affettuosi, da parte di mammina. Il tutto intinto nella gioiosa ingenuità di qualcuno che non sa nulla di come funzioni Facebook, inconsapevole di come tutti vedano tutto. Incluso me. E suo fratello, e suo nipote, e sua cognata, e i suoi ex colleghi di lavoro. Ha voluto anche che le mettessi Skype, le videochiamate di Facebook e la webcam. Mani nei capelli.

Il mio episodio preferito, però, è quello della Gianna Nazionale.
Negli anni in cui mia mamma si teneva in forma, intorno ai 20/25, quando andando in Vespa con le sue amiche i vigili la seguivano in soprelevata e cadevano (quando me l'ha raccontato ho riso fino alle lacrime... una volta un vigile le si è affiancato in moto fissandole le gambe fino ad arrabbattarsi. Un vigile!) in uno di questi pomeriggi sudaticci da tapis roulant, in palestra, ha incontrato una Gianna Nannini agli esordi che neanche lei conosceva (parliamo della seconda metà degli anni '70), a Genova per un concerto e venutasi a sgranchire e rilassarsi in sauna prima della serata sul palco. E pure la cara Gianna, non propriamente insensibile al gentilsesso, deve aver notato qualcosa in questa ragazzetta dai capelli corvini. Ha attaccato bottone, si è messa a sgambettare insieme a lei, e ha insistito molto affinchè venisse al concerto e fare pure serata insieme dopo.

Non ho capito bene com'è andata a finire, mia madre mi ha buttato lì che non è andata, glissando abbastanza. Peccato, se la fossero almeno data una slinguazzata, certe occasioni non tornano a chiamarti una seconda volta.

Si, la sua unica sfortuna è stata di incontrare quel cialtrone di mio padre. E nessuno per favore s'azzardi a venirmi a dire che l'omosessualità non è genetica.




mercoledì 23 ottobre 2013

Perbenismo da spogliatoio

Ok, lo ammetto: mi sono iscritto in questa palestra per lui. Per carità, dovevo iscrivermi comunque, ma la scelta del posto è ricaduta qui (nonostante altri migliori, più vicini e a minor prezzo) perchè è un prurito che mi dovevo togliere. Da anni.

Pallido, magrino e imberbe ma viso tagliente e occhi da furbetto che decisamente no, non me la raccontano giusta, avrà un anno o due in meno di me ma già da parecchio prima di me scorrazzava in moto con annessa tuta fetish. Quando in borghese, invece, è il truzzo raffazzonato da manuale: jeans strettissimi che comunque non riempiva, scarpe non male con annessi tamarrissimi calzini bianchi, capello ingellato all'inverosimile e sorriso sfuggente e storto tutt'altro che 'mentadent'. Aggiungiamo che ha fatto per qualche anno il benzinaio e il quadro è completo - la mano sa istintivamente dove andare. Veramente ma veramente stupido, ignorante intronato peggio di una mela [ndr: sul suo Facebook ha pure messo mi piace alla pagina di Gigi D'Alessio] - ma non me frega un cazzo. Anzi.

L'ho già visto mano nella mano con la fidanzatuccia al centro commerciale, ma l'ho pure incontrato a sculettare incerto in serate gay, e le impressioni perentorie di qualche mio amico ("Quello? Ma se è inequivocabilmente gay, e fa pure schifo!") mi hanno incoraggiato.

Sgombriamo però il campo da qualsiasi aspettativa: in palestra l'ho incontrato il primo giorno, mentre io entravo lui usciva. Basta, mai più rivisto, quasi un segno del destino. Non so se ha deciso di far orari completamente diversi per non rischiare di incrociarmi neanche per sbaglio (probabile, visto che il mio celebre sguardo ultra-discreto l'ha già sondato parecchie volte) o se è stata la sua ultima volta li dentro. Beh, amen - Il minimo che potessi fare era rassegnarmi e guardarmi intorno. Dopotutto sono a Pegli: la capitale di ponente del fighetto, niente di meno, l'El Dorado dei bravi ragazzi figli di papà e di mammá, freschi curati e sani nel più piccolo e insignificante dettaglio, isola felice fuori dalla suburra del vizio e del degrado. Proprio quello che son sicuro loro guardino con malcelato desiderio.

Ma nonostante la delusione c'è di che consolarsi.

Va bene, provo a fare un po' di allenamento in questo salotto di 20mq stipato di gente gomito a gomito, 5/6 attrezzi in croce caduti in disgrazia, manubri rugginosi, tapis roulant che vanno a scatti (da grippare il cervello) e non un fottuto angolo dove fare addominali. A volte mi chiedo come possa esserci a Pegli una palestra del genere ed essere pure piena.

Peccato (strano) per gli spogliatoi (leggi: un bagno più piccolo di quello di casa mia con tre docce affiancate e rigorosamente chiuse con plexiglass zigrinato e due panche traballanti ad angolo che tappano una finestra che avrebbe tanto bisogno di restare aperta). Ma va bene, stringiamo i denti. Anzi spogliatoio piccolo, vicinanza forzata, mi dico. Certo. Inizialmente (primi di settembre) gente non ce n'era moltissima e nonostante la piccolezza era quasi impossibile incrociare qualcuno che andasse a cambiarsi nello stesso momento in cui andavo io. Poi i ritmi si sono rinvigoriti e la palestra affollata, inevitabilmente qualcuno ho cominciato a beccarlo.

Prima puntata: il grande amico di lui, decisamente non male, molto più armonioso e proporzionato nonostante le sopracciglia un po' troppo rifatte. Tonico e compatto, mi ha letteralmente fatto impazzire per i pantaloni della tuta verde mimetico che indossa continuamente, con gli elastici grossi alle caviglie.
Comincia a spogliarsi, rapido e pratico, fino a rimanere in boxer (per pochissimo tempo). Si fionda in doccia e con un gesto da maestro riesce a toglierseli da dietro la porticina in plexiglass e a posarli sulla panca senza mostrare un centimetro di pelo (al) pub(bl)ico. Per fortuna il vetro di plexiglass lascia intuire molte cose mentre si lava, specialmente di profilo, ma non fa che accrescere l'acquolina di vedere qualcosa in più. Sento l'acqua chiudersi, e lo aspetto al varco: si apre di qualche centimetro la porticina, allunga il braccio fino all'accappatoio e se lo tira dentro la doccia cominciando ad asciugarsi chiuso dentro. (...) Esce, bello rinfrescato e fiducioso, e dopo essersi asciugato bene dandomi rigorosamente le spalle, s'infila le mutande pulite con l'accappatoio addosso, solo allora lo lascia cadere per finire di rivestirsi, chiudere la borsa "ciao..." biascicato di circostanza che più di circostanza non si può, e via. (Il copione si ripete ciclicamente).

Seconda puntata: Popeye. Mi alleno tutta la sera in mezzo a ragazzetti loquaci che bene o male si conoscono di vista, tra cui questo diciotto / diciannovenne che pare avulso dal mondo di lustrini e paillettes della capitale d'avorio. Intanto non posso non notare che, poretto, gli manca un molare. Calmissimo, pasoliniano - un ritratto della virilità placida: capelli rasati a spazzola senza crestino nè fronzoli, scarpe letteralmente da ginnastica (quelle bianche da dieci euro del Decathlon), pantaloncini e canotta blu scuro slavati ma puliti e stirati da mamma chioccia. Pelle scura, occhi castanissimi e piccoli, davvero davvero bello. Allenamento molto particolare: solo le braccia, e anche poco. Ovviamente questo non passa inosservato ai suoi 'commilitoni' che immediatamente lo interrogano a riguardo. Ebbene... E' atleta agonista di Braccio di Ferro. Si! Esistono! Quando l'ho sentito m'è scoppiata una tenerezza dentro che l'avrei coccolato per un'ora facendogli il solletico e sfinirlo di baci. Arriva il momento della doccia anche per il Popeye di mammà: splendido corpo tonico, snello e olivastro, pudicizia estrema: mutande che scendono solo da dentro la doccia per rientrare pulite solo da dentro l'accappatoio.

Terza puntata: manco i colleghi. Arrivo a palestra semi deserta ed entro nello spogliatoio, e mi becco sto tizio palesemente frocissimo di tre o quattro anni in meno di me. Ho quasi un sussulto, mi si accende una lampadina con tanto di sting! dello starter dei neon.
Nulla di paragonabile a certi pezzi da novanta etero-o-presunti-tali che si aggirano li, ma non ho potuto che abbandonarmi a un sommo DAI CHE CI SIAMO CAZZO.
Tutto sommato carino - fisico asciutto, alto, mediamente pelosetto nelle gambe, forse un po' troppo pallido ma ci si passa sopra. Completamente nudo con l'accappatoio aperto spalcancato che s'asciuga appoggiato al muro sotto il phon a gambe aperte Rock 'n' Roll (AHHH si baby continua così). In tempo zero chiude la vista di tutte le sue grazie che non faccio nemmeno in tempo a scorgere, "ciao", e passa in modalità stealth: rigorosamente di spalle, finisce l'asciugatura in dieci secondi e s'infila le mutande sotto l'accappatoio, scena già vista. Ed eravamo soli. Che tristezza infinita. L'ho rivisto un altro paio di volte insieme a mister sopracciglia con tuta mimetica: sono molto amici, e perfino un cammello si accorgerebbe che ne è innamorato fradicio.

Quarta (ed ultima, ad ora) puntata: cameratismo. Questa volta mentre mi alleno ho intorno principalmente due tizi, semplicemente splendidi, uno tracagnotto che pur non essendo vestito attillato riesce a riempire con le sue grazie tutti i pantaloncini e la canotta fino a farli tracimare (e con essi anche le mie parti basse, dato che avevo perso la facoltà di distogliere lo sguardo). Biondo, sudaticcio e determinato. Poi il suo fedele compare: un tizio magrolino ma definito e spalle larghe - splendido tatuaggio colorato sul braccio dal petto fino al polso, capelli neri, naso un po' sgraziato ma sottile, occhi liquidi marrone scuro, attillato e caviglia fina quanto basta. Più, un emerito, incredibile, sconfinato imbecille - il proverbiale coglione scemo del villaggio, quello a 18 carati, la mezza sega per eccellenza, brutto e brufoloso, viso porcino pur essendo magro da anoressia, guance scavate, bocca da idiota e faccia da schiaffi, che fa il galletto del pollaio. Sempre pronto a commentare qualsiasi minchiata detta e ragazza che transita. L'imbecille e i due carini non si conoscevano, tanto quanto io e loro.

Sta finendo l'allenamento, ed entrano due tipe, due classiche incontrovertibili chiappastrettissime fighette da palestra di quartiere di fighetti. Mormorii vari ma grazie al cielo son talmente fighette (e fighetti loro) che non s'azzardano troppo. Saliamo allo spogliatoio tutti e 4 appassionatamente: io, i due carini e l'idiota di merda.

Non è stato nemmeno necessario varcare la porta dello spogliatoio che l'esordio dell'imbecille deflagra come un petardo sparato nel culo: "Eeee!! É inutile dai cazzo tanto stiamo pensando tutti alla stessa cosa!!! MA AVETE VISTO CHE DUE FIGHEE PORCODDAO CAZZO NN CI SI CREDE BELINNNN" (la mia faccia. Era da immortalare la mia faccia). E io che credevo avessimo toccato il fondo.

"òh comunque piacere eh io sono Enrico" porge la mano, non aspettava altro. La tipica rottura del ghiaccio, il merdone s'è proprio preso l'occasione per attaccare bottone, se l'è costruita avidamente. Rovista un paio di zolle della banalità e ZAC! Piacere, sono Enrico.

Pure uno dei due carini si chiama Enrico, l'altro boh. Intanto mi giro porgendo la mano anch'io, imbarazzato e già scoglionato di dover prendere parte a quest'orrenda interazione, questo pessimo inizio di convenevoli,  questa...  - wooooooosh. Io non esisto.

Ero accanto a loro, gomito a gomito, che mi stavo per togliere i pantaloncini. Si sono stretti la mano scavalcandomi perchè ero in mezzo. Si sono già girati dall'altra parte. Non ero contemplato. Non ero uno di loro. Non ero lí. Il discorso prosegue come se niente fosse.

VAFFANCULO non ho mai visto una cosa del genere (e ne ho girate di palestre). Non vedo l'ora che scada l'abbonamento trimestrale.

Addio ragazzetti vestiti fighi perfino in palestra, timide contaminazioni tra la voglia di strafare ed il senso del dovere, della decenza, della buona creanza. E con la caviglia fina, che bisogna ammettere, avete per davvero.


giovedì 8 agosto 2013

Tornando dalla pausa pranzo,

era dall'altra parte della strada. Vans basse, nere e bianche e logore.

Queste:
Jeans corti fino a poco sopra il ginocchio, appena attillati, sul blu-azzurro molto stinti quasi bianchi.
Blandissima tshirt grigia, nè attillata nè disegnata, casco slacciato in testa alla bell'e meglio, camminata ciondolante.

A volte basta davvero poco per essere Dio.

Pensateci, la prossima volta che prima di uscire passate 45minuti a scegliere la canotta giusta che s'intoni con le striature delle adidas fluorescenti a stivaletto, abbinando quei pantaloni che fasciano perfettamente il culo con l'elastico dei boxer tenuto al giusto millimetro d'altezza. Quelli che poi vi fanno morire, non sono così.

venerdì 12 luglio 2013

Haiku

Voglia di cazzo che sta travalicando ogni limite possibile.

Sono allo sbando, trasudo da ogni maledetto poro. La gente sembra leggermi nel pensiero, quando cammino i tipi che incrocio si scostano e cambiano strada (...). Devo avere delle idrovore al posto degli occhi, roba che quando ti puntano senti il rumore del risucchio prima ancora di incrociarne lo sguardo. E' umiliante.

Ciò nonostante, è paradossale, ma saltano in aria tutti i clichè. In tempo di guerra mi son proprio rotto il cazzo delle trincee, non ne posso più di accontentarmi - delle frocie pompinare, dei casi umani psicotici e sghembi da cui riesco comunque a farmi arrapare, dei Baffometti stagionati ma bentenuti che trovi a battere alle mura.

Voglio fare una pompa, dura, a un maledetto stronzo di quartiere - trugno, malpalestrato e villoso, con la tuta e i calzini bene in vista fuori dalle scarpe da ginnastica, odoroso e cacirro e con le orecchie piene di anelli. E' il mio turno, cazzo.

Non può e non deve succedere a tutti tranne che al povero stronzo che sono.


mercoledì 29 febbraio 2012

Sogno di una notte di fine estate

Del 14 agosto per la precisione. Mi trovo in centro, e per chi conosce Genova, sto girando dalle parti del Museo del Mare. E' mattino presto, dopo piena nottata di gozzoviglia, e sto girando disperato che non riesco più a trovare il motorino, non ricordo dove ho parcheggiato e mi tocca passare per retrovie poco raccomandabili della zona portuale. Salgo una scala di cemento incrostata di piscio e sacchetti di spazzatura e ci trovo, accasciato, un tizio che conosco. Fabio *****, del mio quartiere, anzi, della mia via, coetaneo o giù di lì, forse un anno in meno.

E Fabio era messo veramente male. Esausto, zoppicante e insanguinato ovunque, perfino sulle scarpe. Penso: "o è stato malmenato da un pusher, o sono siringhe usate male". Mi vede, e per un istante esita a capire. Poi mi riconosce, e negli occhi, in un lampo, gli leggo "Portami via di qui. Portami a casa, tu sai dov'è, ti prego". Esattamente come gli leggo che, vuoi per orgoglio, vuoi perchè non c'è mai stata confidenza, per quanto disperatamente possa aver bisogno non mi chiederebbe mai nulla. Così mi sforzo e ingoio la diffidenza (che per noi genovesi, si sa, è dura) e gli chiedo cosa gli sia successo, "ti serve aiuto, stai bene? Vuoi che ti porti a casa?". Fa solo uno stanchissimo cenno di assenso ma pieno di riconoscenza e mi porge la mano per tirarsi su (si, proprio come nei film allo sciroppo di glucosio). E come da copione, la fortuna vuole che avessi il secondo casco nel sottosella.

Trovo il motorino e comincia il viaggio della disperazione. Una successione infinita di insidie come solo nei sogni può succedere (perdo il cellulare, non riesco ad aprire il sottosella, il motorino non si mette in moto). La traversata è faticosissima, l'asfalto pieno di buche e rattoppi (questa, cosa piuttosto aderente alla realtà) e cerco di non pensare alla mia quasi certezza che possa essere sieropositivo mentre mi stringe, insanguinato, nelle curve.

Lui era il mio dio. Tipico bulletto di quartiere (e non parlo di un quartiere qualsiasi, diciamo il quartiere per eccellenza dell'edilizia popolare). Terribilmenteficoeforte, il centro gravitazionale dei truzzetti del circondario, anche se sempre gentile nonostante mi abbia sempre snobbato per ovvi motivi. Forse la cosa che più mi attizzava di lui era questa capacità di essere genuinamente uno stramaledetto tamarro restando una persona civile.

Lo lascio nella mia via, due discorsi su dove abiti tu, dove abito io, ci vediamo si si.
Quel che poi è accade è che tutto torna più o meno alla normalità, e io con essa ai miei giri finocchi - posti, amici, chat.

Nel frattempo, con tutto il distacco e la gradualità del caso (e che Genova impone) il saluto si fa più sincero, quando ci si incontra si scambiano due parole e ci si intrattiene pure un po' (che lusso), a volte ci scappa anche la serata da quartiere appollaiati tra i palazzi a far niente e parlare di niente, quei comizi che tanto ho sognato e invidiato nella mia infanzia. Insomma, iniziamo a frequentarci. Devo averla fatta grossa a recuperarlo quella volta, e ne sono contento. Infinite serate da soli a parlare di musica, amici in comune e un milione di fumate insieme, a pieni polmoni di quella nebbia tra onirico e psicotropo. Semplicemente stupefacente.

Non gli ho mai chiesto cosa fosse successo quella notte, avvertivo che fosse una sorta di tabù e tale è rimasto. Infondo non mi interessava granché e non avevo la minima intenzione di rompere un simile inaspettato equilibrio. Porta ancora addosso i segni di quella nottata: è sbattuto, graffi ed ematomi un po' ovunque e zoppica. Però si percepisce il miglioramento in corso.

Un sabato sera al Virgo, però (credo, il sogno sfuma ogni contorno) ci ritrovo Lui. Perfettamente a suo agio, con una manciata di conoscenti (insignificanti rispetto alle sue amicizie di quartiere - cosa che non mi sorprende affatto). Ci incontriamo guardandoci un po' disorientati. Cenno di saluto distratto e imbarazzato, poi inevitabilmente si attacca bottone, e s'accavallano momenti di gelo un po' impacciato tipico da "sono stato beccato" e piano piano, dialoghi con la solita e splendida luce negli occhi di quelle serate in camera a fumare. Sorpresa e confusione sono un vortice, odori che si mescolano, caldo e freddo, scazzo e rivelazione.

La serata è solo un lampo, e la settimana ricomincia. Ci vuole un po' per assorbire il colpo, i giorni successivi vedono una brusca battuta d'arresto del nostro assurdo, perverso idillio.

Ma una sera poco dopo il tramonto, come tra amichetti dodicenni, si ferma sotto la mia finestra a scrutare se ci sono, aspettandomi. Appena lo vedo apro e mi affaccio, è sorridente, alienato e con un misto di rassegnazione e eccitazione negli occhi. Qualcosa è scattato, come fosse impazzito, come se avesse rivisto tutto in un film - quegli anni trascorsi abitando a pochi metri crescendo insieme ma socialmente inscatolati e separati, le potenzialità anziché i rischi, come se fosse qualcosa di troppo, troppo bello per essere vero. O forse semplicemente mi ha visto con occhi diversi. Le carte questa volta si scoprono e la corte che mi fa è sfrenata, arresa, incomprensibile.

Cedo.


Mi sono trascinato addosso sto sogno per tutto il giorno crogiolandomici dentro come la coperta calda quando suona la sveglia ma no, non ti vuoi proprio alzare.

Fabio, esisti?