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venerdì 16 gennaio 2015

Di nobili origini

Conoscete, almeno di fama, “la Morena” ?

Nonostante io ne abbia sentito parlare, inspiegabilmente, da quando ho memoria (benchè molto di rado) purtroppo ne so poco o niente, solo che è scomparsa da quasi quindici anni. Tutto il resto è solo per sentito dire, come capita per le persone che lasciano un segno (in questo caso che segnano un'epoca) e la fama oltre a precederle, le segue, regalando loro almeno qualche decade di immortalità. La Morena, classe 1938, era un travestito (o forse transessuale?) che batti e ribatti nei vicoli, nella Genova del Boom economico è riuscita a costruirsi un giro e un entourage decisamente di tutto rispetto (tanto da guadagnarsi l'epiteto di kapò dei trans, non da un signor nessuno ma dal più agguerrito dei commissari di Polizia dell'epoca). Risoluta, controversa ma d'animo generoso, è stata immortalata nella leggenda nientemeno che da Fabrizio De Andrè. Si, la graziosa di Via del Campo, occhi grandi color di foglia, era proprio lei. E lui, uno dei suoi clienti più appassionati.

Offriva ospitalità ai bisognosi che le chiedevano asilo, spesso giovani sbandati imberbi che sbarcavano dal meridione, dall'estero, dai sobborghi. Li accoglieva, ne aveva cura e dava loro un letto e un tetto, ma come direbbe lo stesso De Andrè, pur sempre puttana - pare che uno dei primi impieghi che potesse offrire, per forza di cose, fosse di esercitare insieme a lei. Romanzando un po' la leggenda, immagino che per i bei virgulti, quando non c'era la volontà o la stoffa per "esercitare", il minimo sindacale fosse almeno di ricambiare l'ospitalità giacendo con lei... (ma qui è puro mio cinema), comunque penso fosse arcinoto e ben chiaro a cosa sarebbe andato incontro chi bussava alla sua porta, vuoi da cliente, vuoi da rifugiato. Son passati di lì in molti, e ben pochi ci saranno finiti per caso. In tarda età, dopo aver "chiuso i battenti", ha acquistato un banco al mercato, forse l'altro possibile "mestiere più antico del mondo".

Un collega di mia madre, molto gay e molto genovese (anzi, l'archetipo: piglio da primadonna e accento marcato, mi ricordava tantissimo Aldo Busi in versione simpatica, occhialini inclusi) dopo qualche bicchiere di vino a pranzo s'è lasciato sfuggire qualche frase con tanti di quei puntini di sospensione ubriachi intorno che quasi mi son fischiate le orecchie. 

"Eh tuo padre quando era giovane... 
AAAAHHH boccaccia mia statti zitta!"

No, non era un apprezzamento (almeno, non credo. Anche da giovane non era affatto carino: un po' incinghialito e mezzo sdentato già ventenne - uno dei tanti motivi per cui scarto con disgusto le vecchie foto di famiglia che lo ritraevano - è approdato in una roboante Genova di fine anni 60 fuggendo dalle campagne napoletane e lavoricchiando poco e male nei peggio bar e ristoranti della città). 
Il "collega", resosi conto dell'irreparabile gaffe, ha cominciato  a minimizzare a più non posso e alle mie insistenti richieste di vuotare il sacco s'è limitato ad accennarmi della sua gioventù, dicendo che aveva già conosciuto mio padre come ospite della Morena. In pochi istanti, un groviglio di tasselli che nemmeno credevo di aver colto si sono perfettamente incastrati, e non finirò mai di stupirmi. A mio padre non ho mai chiesto nulla, un giorno forse lo farò (sperando di non fargli venire un colpo). Mi lascia comunque sbalordito che in qualche modo esista davvero una connessione Genova-Napoli per travestitismo e "vita", forse proprio in virtù della specularità delle due città come porti di mare, come dice l'articolo.

Mia madre, di famiglia siciliana traslocata prima in Belgio durante l'infanzia poi a Genova poco dopo, potrebbe essere il quadro perfetto di un bel sogno dal brusco risveglio. Figlia di proletari in pieno boom industriale, va subito a lavorare in fabbrica guadagnando non molto ma abbastanza per essere spensierata e sistemata, passa la gioventù guidando una Fiat 500 dietro l'altra. Ragazza bellissima, e non mi sto sbilanciando. Vacanze in Spagna con le amiche e perfino i flirt con i toreri, anche solo dalle fotografie trasudava una solarità, una serenità, una quiete d'animo che chissà se riuscirò mai a trovare anch'io. Giocava in una squadra di calcio femminile, e nemmeno malaccio (questo dovrebbe già farvi accendere qualche spia sul cruscotto). Quand'ero piccolo, durante le feste nelle infinite cene dai parenti ricordo quanto si divertiva, ubriachissima, a infilarsi in bagno con mia zia (moglie del fratello) quando andava a far pipí, con le scuse più stupide (tra femmine non ci si vergogna! Non si fa niente di male, ecc.), ma queste son scemate. È stato solo un paio di anni fa, quando sono definitivamente andato a vivere fuori casa e mi ha chiesto di lasciarle un pc e farle il profilo Facebook, che ho potuto toccare con mano un altro abisso insondato.

È difficile rendere l'idea, ha un bouquet di amiche totalmente sconosciute di ogni angolo del globo, la sua bacheca sembra tratta da un episodio saffico di Cinquanta Sfumature di Grigio. Donne sexy e seminude si contorcono un po' ovunque, sorridendo maliziose, con occhi chiusi sognanti e mandando baci oppure giocando con fruste e guinzagli, con commenti decisamente apprezzativi, spesso anche affettuosi, da parte di mammina. Il tutto intinto nella gioiosa ingenuità di qualcuno che non sa nulla di come funzioni Facebook, inconsapevole di come tutti vedano tutto. Incluso me. E suo fratello, e suo nipote, e sua cognata, e i suoi ex colleghi di lavoro. Ha voluto anche che le mettessi Skype, le videochiamate di Facebook e la webcam. Mani nei capelli.

Il mio episodio preferito, però, è quello della Gianna Nazionale.
Negli anni in cui mia mamma si teneva in forma, intorno ai 20/25, quando andando in Vespa con le sue amiche i vigili la seguivano in soprelevata e cadevano (quando me l'ha raccontato ho riso fino alle lacrime... una volta un vigile le si è affiancato in moto fissandole le gambe fino ad arrabbattarsi. Un vigile!) in uno di questi pomeriggi sudaticci da tapis roulant, in palestra, ha incontrato una Gianna Nannini agli esordi che neanche lei conosceva (parliamo della seconda metà degli anni '70), a Genova per un concerto e venutasi a sgranchire e rilassarsi in sauna prima della serata sul palco. E pure la cara Gianna, non propriamente insensibile al gentilsesso, deve aver notato qualcosa in questa ragazzetta dai capelli corvini. Ha attaccato bottone, si è messa a sgambettare insieme a lei, e ha insistito molto affinchè venisse al concerto e fare pure serata insieme dopo.

Non ho capito bene com'è andata a finire, mia madre mi ha buttato lì che non è andata, glissando abbastanza. Peccato, se la fossero almeno data una slinguazzata, certe occasioni non tornano a chiamarti una seconda volta.

Si, la sua unica sfortuna è stata di incontrare quel cialtrone di mio padre. E nessuno per favore s'azzardi a venirmi a dire che l'omosessualità non è genetica.